Risarcimento milionario per la moglie e i figli di Angiolino Calzolari, hanno dovuto attendere dieci anni, ma ora finalmente possono chiudere un lungo e doloroso capitolo della loro vita.

Il Tribunale Civile di Modena ha dato loro ragione:

la morte di Angiolino non solo si poteva evitare, ma le responsabilità ricadono sulla ditta per cui lavorava.

Per comprendere la vicenda occorre tornare al 13 agosto del 2007. Angiolino, allora 49enne e residente a San Possidonio, è un elettricista dipendente dell’impresa La Luce di Amelli Giorgio, anche questa con sede in paese. Quel giorno si reca da solo all’azienda agricola La Corte per installare due ventole per l’areazione della stalla. Per farlo utilizza un ponte sollevabile Oil&Steel, montato su un furgone.

Dopo aver eseguito parte dei lavori, tenta di riportare il cestello nella sua sede di appoggio.

Subito dopo cerca di spostarsi oltre la barriera che funge da recinto per i vitelli.

Nel corso dell’operazione il cestello si incastra sotto una trave del tetto

(alto 4 metri), facendo scattare la valvola di limitazione di sforzo e il blocco dell’impianto idraulico.

Angiolino, allora, aziona il fungo di emergenza e si sporge nello spazio di 20 centimetri rimasto tra il bordo del cestello e il solaio. Un’oscillazione del cestello, però, provoca lo sblocco improvviso, con un conseguente movimento verso l’alto del cestello. Angiolino resta incastrato tra solaio e cestello, morendo soffocato – non per il trauma – nel giro di pochi minuti. La piattaforma, infatti, è dotata di un dispositivo per la discesa a terra in caso di emergenza, attivabile solo da terra. Il manuale d’istruzioni stabilisce che è consigliabile avere sempre un collaboratore a terra pronto e istruito sulle operazioni da svolgere. Così non fu.

Il giudice contesta alla ditta La Luce di aver affidato ad Angiolino il lavoro in un ambiente confinato, senza la collaborazione di un operatore a terra. Insomma se ci fosse stato un collega, quest’ultimo avrebbe sbloccato la gru e salvato la vita dell’elettricista.

Per questo motivo il Tribunale ha stabilito che alla moglie e ai due figli, venga pagato un risarcimento milionario dalla ditta La Luce di circa 800mila euro.

Al di là del denaro, però, la sentenza è stata per la famiglia, in particolare per la moglie Teresa Itri.

Un modo per gridare al mondo come Angiolino non sia morto per un suo comportamento incauto, come d’altronde lei aveva sempre sostenuto.

Anche dopo che la Procura aveva archiviato l’iter penale senza nemmeno procedere.

«Siamo riusciti a dimostrare la verità» spiega l’Avvocato Mauro Intagliata, dello studio legale reggiano Intagliata – al di là del processo penale che è stato archiviato frettolosamente.

«È stata una battaglia legale durissima, ci hanno considerato degli speculatori, ma è stato gratificante riuscire a dimostrare come siano andate le cose» .

Un successo non solo professionale, ma soprattutto umano per aver ripristinato la verità.

Tutto ciò in favore di una famiglia che aveva dovuto soffrire oltre al trauma del lutto anche quello del vedere colpevolizzare il loro caro per la propria morte.

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